Catch me if you can (ho preso il virus)

Ce l’ho fatta. Dopo mesi, e ormai direi anche anni, in cui si parla di questo virus, sono riuscito a prendermelo non so dove e nemmeno si riesce a capire come io possa non averlo passato ad altri 4 che sono stati con me per tutta la settimana precedente.
Misteri della virologia di cui nemmeno lontanamente voglio occuparmi.

Un bel febbrone, raffreddore, dolori. Poteva essere una qualunque influenza, quella che mi prendo tutti gli anni perché passo continuamente dalla temperatura di Dubai d’estate dell’ufficio a quella di Oslo di inverno ma con l’umidità di Singapore che c’è appena varcata la soglia per uscire nel piazzale dell’azienda.

E io faccio dentro e fuori dall’ufficio almeno venti volte al giorno.

Poteva essere la solita influenza, ma non lo era.
I sintomi erano i soliti, con la differenza del gusto. La perdita del gusto è stato proprio l’indicatore principale: mi sono preso quel virus lì.
Non so che variante, non so che tipo, so solo che di certo era quel virus lì, quello di cui tutti hanno paura, quello che all’inizio è stato gestito da analfabeti che poi hanno passato la mano a incompetenti che poi hanno lasciato fare a gente che si è sfregata le mani e ci ha fatto un sacco di soldi sopra.

Mi accascio sul divano in preda alla febbre, col naso tappato, sorseggiando un’aspirina annata 2021. Ed è lì che mi sono reso conto della mia mancanza di gusto. Lo sguardo cade verso le mie gambe e questo è quello che vedo:

Ho perso il gusto, è chiaro, non ci si può fare niente. Ma allora è proprio quel virus lì.
Già mi vedo rinchiuso in casa senza viveri, a dover dare fondo a tutte le mie scorte di fagioli e di vino che tenevo lì a invecchiare. Meglio aprire il Magnificat 1998 o il Gurrida 2001?

Nel frattempo passano i giorni, le scorte di fagioli volgono al termine, quelle di vino sono ancora ben rifornite e dureranno tanto tempo ancora. Non ho di che preoccuparmi.
Ufficialmente io sono libero di andare a fare la spesa, andare al cinema o dovunque io voglia andare: la ASL infatti non ha ancora emesso alcun provvedimento.

Il giorno del fatidico tampone negativo riprendo le mie attività.

Il bello arriva ben dieci giorni dopo.
Mi chiama un numero sconosciuto.

“Pronto”
“Lei è il signor Frediani?”
Sospettoso non rispondo mai “sì” per paura che il mio “sì” venga registrato e usato con un copia incolla su una conversazione falsa in cui accetto di donare tutto il mio patrimonio al principe nigeriano Amunike.
“Sono io”
“Bene. La chiamavo per il suo tampone.”
“Eh? Quale?” Mi viene il dubbio che qualche zelante minchione positivo abbia fatto il mio nome per la storia della tracciabilità, quando tutti gli italiani hanno il tacito accordo di non dire con chi sono stati in caso di positività.
“Beh, il suo tampone positivo.”
“L’ho fatto 17 giorni fa, cosa c’è che non va?”
“Ah… 17? Quindi ha già verificato la negatività?”
“Senta, sto una bellezza, tampone negativo 10 giorni fa”
“Ah, bene. Aspetti che verifico.”
In sottofondo si sente rumore di tasti, mouse che sfrecciano sulla scrivania, macchine da scrivere, modem 56k che si connettono, cartelle che vengono sfogliate. Attendo in silenzio finché la voce torna a parlarmi, questa volta con tono un po’ più rassicurante.
“Bene, è negativo. Allora posso mandarle il provvedimento di fine isolamento.”
“Ah, beh, grazie. Alla buon’ora. Sono fuori da 10 giorni.”
“Ma senza provvedimento, come ha fatto a uscire?”
“Beh, guardi, da ordinanza della regione non devo aspettare voi. Comunque ho aperto la porta di casa ed ero fuori. Diciamo che è stato piuttosto facile.”
“Ordinanza…” Scandisce bene la parola un’altra volta. “Ma io devo mandarle il provvedimento di fine isolamento.”
“La ringrazio moltissimo. Lo ricevo volentieri e la saluto.”
Rumore di tasti, mouse, cartelle. “Ecco. Le arriverà per email il provvedimento con cui può porre fine all’isolamento”
“Grazie infinite, efficientissimi come sempre, puntuali e organizzati. Grazie tante.”
“Si figuri. Buona giornata.”

Nemmeno quando li prendi per il culo capiscono.

E insomma, in pochi secondi ricevo il mio via libera per uscire di casa. Con soli dieci giorni di ritardo.

Signori dell’ASL, visto che non siete in grado di gestire la situazione, ma vi pare il caso che io stia ad aspettare voi, oltretutto dopo che c’è stata un’ordinanza della regione in cui mi è stato detto che non c’è bisogno di aspettare voi?

Perché in fin dei conti chi gestisce la regione lo sa bene: il sistema è inefficiente, disorganizzato e dentro c’è finita gente che non capisce una mazza e che se fosse a lavorare nel privato prenderebbe calci nel culo dalla mattina alla sera fino all’uscita, ma siccome non si impara mai dagli errori, anziché potenziare il sistema sanitario dopo due anni di vaneggiamenti su un virus di cui non abbiamo ancora avuto i dati reali della sua portata, è meglio fare ordinanze a caso che taglino fuori il sistema e che, alla fine dei conti, si rivelano l’unica cosa intelligente fatta da chi sta governando impunita da anni.

E tutti in autogestione.

Ricordatevi di portare il fumo, bonghi e materassini.

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