L’accento va sulla prima “i” di Pizzoli, non sulla “o”. Tanto per cominciare.
Nella piazzetta di uno sperduto paesino di 35 abitanti in provincia dell’Aquila, sabato 3 agosto si è tenuta la premiazione del Premio Letterario Cavallari di Pizzoli.
L’occasione per andare a fare un giro a L’Aquila e bere del buon Montepulciano d’Abruzzo era troppo ghiotta per farsela scappare. In più avrei potuto fare un giro verso Roma e passare la domenica sdraiato sulla spiaggia di qualche laghetto.
La piazzetta, fanno notare gli organizzatori, è piena come non lo è mai durante tutto l’anno. E in effetti in un paese di 35 abitanti vedere 200 persone deve essere stato come per me entrare a Wembley.
Durante il concerto dei Queen.
Ma io non mi lascio intimorire da una folla festante che si straccia le vesti dalla gioia. Quindi, mantengo una calma glaciale e non appena vengo chiamato sul palco porgo il telefono a un altro concorrente per farmi scattare delle foto. Raccolgo il telefono che ho fatto cadere a terra, mi alzo. Mi slego lo zaino di dosso, dopo che si era impigliato nel bracciolo della sedia, lo appoggio sul tavolo. Raccolgo lo zaino che ho fatto cadere a terra e nel movimento faccio cadere anche la sedia e rovescio una bottiglia d’acqua. Tampono il concorrente con la tovaglia e mi scuso ripetutamente.
Lui mi guarda fisso negli occhi. “Vai su quel palco.”
Mi destreggio tra sedie e tavoli per raggiungere il palco. Aiuto una signora a raccogliere la borsa che le ho buttato a terra, pesto la zampa a un cagnolino parcheggiato lì.
Giunto davanti al palco sto per saltarci sopra. La conduttrice mi fulmina con lo sguardo e mi indica una scaletta laterale che non avevo visto. Ringrazio e cambio direzione.
Punto deciso verso la presentatrice, scalcio via il filo del microfono in cui stavo per impigliarmi e resto in attesa che qualcuno mi salvi.
Lei parla del mio racconto in cui tutto il lavoro è svolto da robot, legge le motivazioni della giuria. Io resto impietrito nella speranza di non rovesciare nient’altro.
Un attore, tra l’altro pure bravo, legge il mio racconto. Bravo perché ha capito quali fossero i punti che volevo evidenziare. Legge come io avevo pensato andasse letto. Bravo!
Attendo targa e assegno e magari del vino, mi guardo intorno e la conduttrice mi chiede da dove avessi trovato l’ispirazione per questo racconto.
Ecco. La domanda. Non si possono preparare prima queste cose?
La folla oceanica che si estende davanti al palco freme in attesa della mia risposta.
Roger Taylor alla batteria mi dà il beat per cominciare, prendo fiato, scrocchio il collo.
“Sono andato al supermercato e ho fatto la spesa. Ma non sono passato dalla cassa, ho usato… il laser per sparaflashare il codice a barre…”
Sparaflashare.
Molto letterario. Sì.
La folla annuisce, la conduttrice sorride soddisfatta, ma anche divertita. Mi stringe la mano, un signore elegantissimo mi raggiunge con in mano l’attestato, una busta e una confezione di ferratelle. Riesco a farmi stare tutto in braccio, controllo per terra e non c’è niente.
Stringo altre mani e quando gli applausi finiscono prendo l’iniziativa e me ne vado. Nessuno mi ferma, quindi ho fatto bene. Evito il filo del microfono a terra, scendo i gradini con nonchalance, ripasso fra le sedie senza toccarne nemmeno una. Il cane di prima è ben nascosto sotto il tavolo, io torno a sedermi e mi verso un bicchiere di prosecco.
Devo assumere una controfigura per queste scene pericolose.

