Da dove viene veramente il COVID

Ogni tanto qualche sbandato ente pubblico ha la stupida idea di volermi dire qualcosa e per farlo mi manda una ancor più stupida raccomandata, nonostante io abbia dato a tutti gli enti sbandati del mio comune e della mia nazione il mio indirizzo PEC.
Quindi, ogni tanto, mi tocca andare alla posta per sapere cosa aveva questo ente sbandato da dirmi.

Siamo in coda alle poste, fuori perché dentro non si può. Il mio numero è il 352 e con disappunto noto che allo sportello stanno facendo finta di servire i numeri 50, 51 e A360. Con una breve ricerca scopro che i numeri preceduti da “A” sono quelli dei correntisti, che siccome lasciano lì i soldi di loro spontanea volontà, hanno la priorità nei confronti di chi è costretto ad avere a che fare con le poste italiane.

In pratica, se vai alle poste per la posta, ti passano davanti quelli che hanno sbagliato posto e invece che andare in banca sono andati alla posta.

La coda si dipana lungo il marciapiede e gira l’angolo dietro il palazzo. Qualcuno è appoggiato al muro, qualcun altro è accasciato contro il muro e forse ormai è deceduto aspettando la pensione del Dicembre 98.

Ora, sarà pure che alle poste se la prendono comoda, ma io una fila così lunga non l’ho mai vista nemmeno nelle giornate più sfortunate. Anche se dover andare alla posta è già una sfortuna di per sé.

La coda scorre a ritmo di una persona ogni 20 minuti, qualcuno deve aver preso il numero e rinunciato perché dalla mia posizione riesco a vedere l’interno dell’ufficio e siamo già addirittura al numero 300. Nel frattempo gli sportelli con le A sono diventati due e procedono a ritmo spedito. Loro.

Passano altri 30 minuti e finalmente sono davanti alla porta. Un signora cammina piano piano da dietro lo sportello fino all’entrata, guarda oltre me, indica la scalinata di ingresso e urla “Solo fino a lì perché siamo in chiusura”.

Mancano 10 minuti all’una, sapevo che l’ufficio postale faceva orario continuato dalle 9 alle 5 ed è per questo che spesso vado durante l’ora di pranzo, in modo da non perdere ore al lavoro e magari trovare il momento in cui c’è meno gente. Questa volta la mia tattica non sembra aver funzionato.

Nell’attesa leggo i cartelli sull’ingresso. Conti correnti, libretti di risparmio, assicurazioni.
E poi, nascosto fra tutti i cartelloni gialli, un foglio A4 stampato e corretto a mano con evidenziatore rosa che recita: “Causa situazione epidemiologica l’ufficio postale svolgerà il seguente orario ridotto. Dalle 9 alle 13”

Quindi, per colpa di un virus, alle poste lavorano un po’ meno. Mi sfugge la logica.

L’attesa e il freddo mi portano visioni mistiche in cui vengo impacchettato e spedito ai tropici ed è proprio lì, sulla spiaggia di Jakarta che osservando il mar cinese meridionale comprendo l’origine del COVID e ripercorro il suo arrivo in Italia.

Il COVID si chiama “SARS” ed è proprio da lì che arriva l’odierno COVID. Questo virus è partito dall’Asia nel 2002 e adesso dopo 20 anni ce lo ritroviamo qui a metter in imbarazzo i nostri sistemi sanitari di merda e i nostri governanti da circo.

Il COVID è la SARS del 2002, in ritardo di 20 anni perché è stata consegnata da Poste Italiane.

Rispondi

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: