Il castello di sabbia

Un nuovo capitolo della rubrica “babbomerda“.

Costretto da un essere umano molto basso che si muove rumorosamente dentro casa ad andare al mare, mi cimento nell’antica arte della costruzione di castelli di sabbia.

Preferirei cimentarmi nell’antica arte di starmene a letto, ma l’essere di cui sopra passerebbe la giornata a saltarmi sulla schiena. Meglio il dolore di un pomeriggio al mare che quello di una vertebra rotta.

Disponiamo sulla spiaggia tutta l’attrezzatura per la costruzione: un secchiello e due palette. Anche per tirare su le piramidi gli strumenti erano questi, posso farcela a piazzare un po’ di torri e delle mura, no?

Ma gli egiziani avevano schiavi ben addrestati e non un essere umano allo sbando che corre, se ne va, insegue un granchio, si fa inseguire da un granchio perché il granchio si è incazzato e poi si lancia in mare.

Con gente così inaffidabile, al massimo avrebbero potuto promettere un ponte su uno stretto e niente di più.

Riporto alla ragione l’essere che facoltà di ragione non ha e la convinco a concentrarsi sul lavoro da svolgere.

Traccio con uno stecco l’area che delimita le mura, predispongo le stalle, l’armeria e la sala del trono. Progetto le torri di guardia ai quattro angoli e misuro lo spazio per un bastione difensivo avanzato, che non si sa mai sti lanzichenecchi da dove mi sbucano fuori.

Iniziamo il lavoro operativo e la pargola scava una buca in cui ci si infila fino alla spalla. Faccio notare che il progetto prevede un fossato ma non una voragine piazzata a caso di fianco al castello.
“Ma ho trovato l’acqua” mi risponde la piccola ingegnera.
Mi giro a guardare il mare a due metri da me. Deve essere stato difficile trovare l’acqua qui.

Chiedo che mi venga portata della sabbia impastata con acqua perché le mie mura hanno bisogno di malta. Arriva un secchio di sabbia che viene capovolto prima che io possa metterci le mani sopra. Ne esce fuori una torre dove io avevo previsto di piazzare il ponte. Dovrò rivedere il progetto ruotandolo, non posso mica demolire una torre già fatta.

Uniamo le torri con le mura, dobbiamo aggiungere dei sassi. Mi vengono recapitate delle conchiglie. Già vedo i visigoti aprire una breccia con una grattatina di unghie.

Il muro è ancora da completare e la pargola si dedica alle decorazioni. Su, dai, non perdiamo tempo su questi dettagli, c’è da organizzare la difesa contro gli arabi che risalgono la Spagna.

Apro il portone di ingresso e costruisco il ponte sul fossato. Nel frattempo la pargola lancia una secchiata d’acqua per riempire il fossato e l’onda causata mi butta giù un pezzo di muro con tutte le sue conchiglie.
Maledetta vichinga che non sei altro.

Il castello è pronto, tutto è progettato a regola d’arte, tutto è al suo posto. Adesso, finalmente, possiamo abitarlo e goderci la protezione che ci offre.

La pargola prende i suoi pupazzi, le bambole e le tira dentro al castello. Salta anche lei dentro a pié pari, demolisce le stalle e l’armeria, un pezzo di muro crolla e lo ripara con un sasso giusto per tappare il buco.

Tutta la mia progettazione va a farsi benedire, tutto il lavoro è sprecato, lei fa come le pare e non ha capito niente di tutto quello che abbiamo fatto.

E fondamentalmente essere genitori ha proprio questo significato.

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