Il pesce alla vecchia maniera

Ieri sera volevo preparare un simpatico piatto di pesce, un piatto semplicissimo: pesce al cartoccio con sale, erbe aromatiche e qualche fetta di limone.

Un gentile pescatore, amico dei miei genitori e che affermava di conoscermi da non so quanti anni, mi ha lasciato in dono 3 bei pesci di ignota provenienza e specie.
Ecco, stiamo a farci mille pippe con l’unione europea sulla tracciabilità degli alimenti, sulla conservazione, sulla zona di pesca e poi arriva uno sconosciuto che tira fuori da un sacchetto di plastica 3 pesci e noi ce li mangiamo così, senza nemmeno chiedere una certificazione, senza nemmeno chiedere la licenza di pesca o, che ne so, la patente di guida per andare fino al fiume (o al mare?) per pescare.

Pensandoci bene, mio nonno ha 90 anni e problemi di salute da quando ne aveva 85, quindi, uno che ha mangiato nella sua vita topi, erbe di bosco, gatti (ebbene si, si mangiano anche i gatti quando uno ha fame, anche se qualcuno vorrebbe far finta di niente) frutta guasta e che, magari, non si lavava nemmeno le mani prima di pranzo, ha vissuto 85 anni tranquillamente, con i suoi acciacchi, una pallottola estratta da qualche parte e una scheggia di ferro in un occhio. Eppure non credo lui abbia mai avuto a disposizione certificati di origine dei cibi né marchi di qualità.
Le generazioni successive invece sono piene di tumori e altre malattie.

Mentre pensavo alla mancanza di certificati di provenienza di quei pesci, ho preso il sacchetto e sono tornato a casa voglioso di cuocerli (ah, mio nonno, probabilmente, almeno una volta, il pesce se lo è pure mangiato crudo, e pensare che ora va di moda e lo chiamano “sushi”).
Osservo i pesci e noto che sono stranamente gonfi, pingui come i pesci che da piccolo pescavo con mio babbo al fiume; mi dico “ah, questi sì che sono pesci veri, mica come quelli del supermercato!”.

E invece no, sono pesci come quelli del supermercato, solo che questi hanno ancora tutti gli organi interni. E gli organi interni non si mangiano (magari se chiedo al nonno mi dice che sono una prelibatezza, bo?).

Ora, pulire il pesce è un’operazione “di una volta”, quei gesti “dimenticati” come cucire i pantaloni, seminare l’orto o fucilare un tedesco (ah no, quest’ultimo si fa ancora, non con i tedeschi ma con qualcuno un po’ scuro di pelle preso a caso), quindi non mi dilungherò e cercherò di descrivere al meglio il sistema più efficace per pulire i pesci.

1- prendere il pesce.
Ecco, sembra facile, ma il pesce non è anatomicamente studiato per stare nella mano dell’uomo. Avessimo dovuto pulire una pistola sarebbe stato tutto più semplice. Il pesce va preso senza stringere troppo, altrimenti scivola via; la natura lo ha fatto poco anatomico per l’uomo e maledettamente viscido.
Quindi, prendete il pesce e dirigetevi verso il lavandino.
Raccoglietelo da terra, con due mani.
Dirigetevi verso il lavandino.

2- aprire il pesce
L’ideale sarebbe tagliare la testa, ma provateci senza schizzare sangue da tutte le parti.
E poi, senza nessun giro di parole: infilate il coltello nel culo del pesce e aprite la pancia.
Tutto quel che riuscite a fare uscire dall’animale non dovrebbe essere mangiato (semmai provate a darlo al nonno, non si sa mai).

La pelle? lasciatela li dov’è. Se solo provate a fare il contropelo alle squame di un pesce, vi ritroverete squame che schizzano dovunque.

Ah, un ultimo consiglio: se suonano alla porta, non fate come me, non andate ad aprire.
Presentarsi, davanti ad un poliziotto che sta cercando il tuo vicino, con un coltello in mano e le mani sporche di sangue potrebbe non essere una buona idea.

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