La variazione

Quarto chilometro di corsa, un terzo di quanto preventivato per oggi, sto bene, reattivo sulle gambe, fiato sotto controllo. Il ritmo di 4′ e 30” al chilometro mi dice che sto andando più che dignitosamente per un dilettante come me. Quando va così è proprio un piacere. Il vento fra i capelli, il rimbalzo morbido della scarpa sull’asfalto, l’aria che entra dal naso e arriva fino giù nel petto, il sole di una sera d’estate sulla pelle. Sempre il solito percorso, sono abitudinario, io, mi spaventa cambiare, ma lì, nella “mia” strada, mi sento al sicuro.

Sto bene, oggi posso anche permettermi una piccola variazione. Giro a destra in una stradina che so si ricongiungerà al mio percorso abituale dopo duecento metri. Cambiamento, sì, ma senza esagerare.

La stradina dà su una piccola darsena, un molo e qualche barchetta ormeggiata.

Non sto faticando, posso permettermi di osservare le case tinte di arancione dal tramonto, i tetti, le barche ormeggiate che dondolano, il sole che fra mezz’ora tramonterà, le finestre.

C’è una finestra aperta, dall’interno esce una luce soffusa e appoggiata al davanzale c’è una ragazza.

Ha un’aria annoiata e lunghissimi capelli neri e mossi che ricadono sulle spalle incorniciando un viso pensieroso e due occhi neri, grandi, persi nell’orizzonte.

Sussulto, rallento, inciampo, scalcio un sasso. Penso che dovrei fermarmi, farle un sorriso, almeno un saluto, un cenno con la mano. “Provarci?” Forse. Ma questo significa mettersi in gioco, confrontarsi con la realtà di un possibile rifiuto. Decido che per una volta lo voglio fare. Alzo lo sguardo e – maledette gambe – sono già lontano da quella finestra.

Aspetto il giorno successivo, infilo le mie scarpe da corsa ed esco. Con la mente sono già lì sotto la finestra della ragazza dai capelli neri. Ci sarà anche oggi?

La trovo, stessa posizione di ieri, stesso sguardo. Capelli raccolti in una coda e ora vedo tutto il viso, le guance, le labbra, le orecchie, il naso e quegli occhi neri. Fuma una sigaretta. La osservo, cerco di incrociare una sguardo o almeno di attirare la sua attenzione, sbatto un po’ i piedi, tossisco, cerco di nascondere la fatica e il dolore alla gambe dovuto alla corsa del giorno prima.

Mi vede, mi guarda, sorrido, sorride. Accelero. Ma perché?! Cretino, rallenta, fermati lì e parlale. Troppo tardi.

La variazione diventa parte integrante del percorso abituale, cerco di mantenere sempre il solito orario e quella ragazza la trovo sempre lì. Forse mi aspetta, forse ha capito che passo sempre sotto la sua finestra alla stessa ora. Sorrido, ricambia. Ancora.
Dovrei fermarmi e dire qualcosa, invece accelero. Credo di impressionarla con la mia corsa sicura, nascondendo la fatica quasi a dire “Guarda qua, sono fresco come una rosa e mi faccio altri dieci chilometri”.

E invece ogni volta mi manca un po’ il fiato, perdo il passo, mi distraggo e rischio di andare contro un paletto del molo.

Dovrò fermarmi, prima o poi.

La guarderò, “Ciao!”. Inizieremo a parlare del cosa ci fa lì alla finestra tutte le sere, di dove vado io a correre, la inviterò a seguirmi e magari ci verrà pure.

Allora potremmo iniziare ad andare a correre insieme e sarebbe davvero bello perché alla fine del mio solito percorso arrivo dritto sulla spiaggia e lì potremmo sederci un po’, fare il bagno, bere qualcosa.

Una sera andremo in quel locale proprio in fondo al molo che lei osserva sempre alla stessa ora, la vedo già vestita bene, truccata. Anche se con quella vecchia maglietta che indossa quando sta alla finestra è già perfetta.

Smetterà di fumare, la convincerò, non voglio che una così si rovini per qualche sigaretta.

Andrò a correre un po’ di meno per stare con lei più tempo.

Forse una di quelle barchette ormeggiate è la sua e così potremmo andare al largo a fare il bagno e a prendere il sole, lontano da tutto e da tutti. Chissà come sta bene in costume.

Devo solo fermarmi e salutarla.

Potrei farlo oggi, proprio ora, sto svoltando adesso nella sua strada. Si, lo farò oggi, sono due mesi che sogno tutto questo.

Sono in ritardo sulla tabella di 4 minuti, tutti questi pensieri mi hanno fatto correre alla media di 5′ e 30” a chilometro. Roba da vecchietti.

Cerco la finestra con lo sguardo, la luce è spenta, lei non c’è. Dov’è finita? Sussulto, rallento, mi guardo intorno, mi fermo. Cretino, ti fermi quando lei non c’è e acceleri quando è lì che ti guarda?

Scaccio il pensiero e la cerco. La trovo, è proprio lì su quel molo.

Assiste una barca che sta attraccando e da cui scendono una decina di persone con mute e bombole da sub. Un ragazzone con i capelli ancora bagnati e una maglietta “Istruttore subacqueo” le si avvicina, sorride, la bacia.

Brivido, resto in apnea, si chiude lo stomaco e sento che sta crollando tutto.
Riparto di corsa, più forte di prima, 3′ e 40” al chilometro dice il GPS, anche se è troppo per me. Mi fanno male la gambe, non ho più fiato, iniziano le fitte al ginocchio. Ogni rimbalzo sull’asfalto è una martellata. Corro, accelero, vado sempre più forte anche se il mio fisico non può reggere quel ritmo. Inciampo nel mio passo, cado sull’asfalto di pancia, rotolo qualche metro. Mi siedo per terra con una spada nello sterno che non mi lascia respirare. Ho le mani insanguinate, le ginocchia in fiamme, una caviglia storta in una posizione innaturale.
Correvo a 4’ e 30’’ al chilometro qualche giorno fa, era dignitoso. Adesso non correrò più per un bel po’. Solo per aver preso quella stradina, solo per aver creduto ad un’idea.

Mi dicevano che i sogni si realizzano. Forse è così: i sogni si realizzano sempre, ma mai per me che li ho sognati.

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