La Formula Uno, ovvero gente che si siede col culo a due centimetri da un asfalto che scorre sotto il loro culo a trecento all’ora col rischio di sgrattugiarsi le chiappe a ogni sobbalzo.
O almeno questo è quello che ho sempre pensato della Formula Uno soprattutto quando da piccolo usavo una scatola di cartone e fingevo di guidare la McLaren di Senna.
Poi a 15 anni il cartone è diventato troppo piccolo e ho iniziato a darmi all’alcol.
Alla mia veneranda età la Formula Uno è il modo per addormentarsi sul divano in pace, col ronzio dei motori e qualche stupidaggine detta da un commentatore che le prova tutte per non farti dormire, cerca persino di rendere interessante il momento in cui cambiano le gomme.
Quando ho dovuto cambiare una gomma della mia macchina dopo una foratura non è stato per niente interessante, altro che diretta televisiva.
Il commentatore prova a farti credere che esisterà qualcosa oltre il decimo giro e le prova tutte per non farti dormire prima del limite. Ma il decimo giro ha sul cervello l’effetto che ha la death zone sugli alpinisti e più di lì, proprio come succede sull’Everest oltre gli 8000 metri, il cervello non capisce più niente, manca l’ossigeno, non si articolano le parole e si cade nella neve.
Io almeno cado nel divano. Anzi, non cado perché ci sono già sdraiato sopra.
Il giorno dopo devo placare la mia curiosità. In fin dei conti è uno sport, si fanno delle gare e il fatto di non tifare per nessuno rende ogni risultato interessante. Ma poi cosa dovrei tifare? Il pilota o la macchina? Se tifo il pilota, basta che finisca su un cesso di macchina per non vederlo mai più nemmeno arrivare in fondo alle gare (cioè al decimo giro, per me); se tifo la macchina, dopo quattro o cinque anni quella cambia nomi, colori, motore, poi ne arrivano di nuove, poi altre se ne vanno. Ogni anno può arrivare una macchina nuova, ogni anno spero che torni la Lola, quella sì che era un gran bel pezzo di mucchina.

Quindi non tifo nessuno e vado serenamente a guardarmi il riassunto del Gran Premio, riassunto che dura giusto il tempo di dieci giri e così non corro il rischio di addormentarmi mentre guardo il riassunto.
Non capisco niente di macchine, non guido mai a più di 137.5 all’ora (130km/h + il 5% di tolleranza dell’autovelox) e l’unica volta in cui per caso mi sono trovato al volante di una BMW e senza accorgermene ho passato i 141.6km/h, avuto il timore che di lì a breve avrei fatto un viaggio nel tempo.
Non capendo niente di motori, non posso apprezzare gli stili di guida o le traiettorie, e i sorpassi mi sembrano sempre la solita storia di uno che apre un buco nell’ala posteriore e va più forte dell’altro che invece ha un’ala posteriore senza buco. Al giro successivo le parti si invertono. Vince chi ha l’ala bucata per ultimo.
Poi arrivano gli incidenti. Perché primo o poi, quando stai col culo a due centimetri dall’asfalto, qualcosa di brutto deve succedere.
Questa gente si schianta a 300 all’ora, fa testacoda, si seppellisce nella sabbia e si fa investire da una sassaiola a 300 all’ora.
Ed è qui che viene fuori la vera capacità innata del pilota di Formula Uno professionista.
Il pilota di Formula Uno in realtà è un lord inglese dell’800, un nobile che sorseggia il tè a 300 all’ora, mentre con una mano tiene una tazza di tè e con l’altra mano si aggiusta il monocolo. Siccome i piloti hanno solo due mani e non tre, a volte dimenticano quella che tiene il volante e vanno a schiantarsi.
Quando si schiantano, questi lord, non tirano giù madonne, non maledicono l’avversario che lo ha spinto fuori e non si lanciano in insulti razzisti contro il giapponese, l’italiano o il tedesco.
No. Loro chiamano l’ingegnere.
Finisci contro un muro, perdi una gara e fai un danno da qualche milione di euro e per prima cosa chiami l’ingegnere. “Ho preso il muro, scusate”. E poi sospirano affranti.
Io quando appena tocco il marciapiede col cerchione tiro giù il cielo, se per sbaglio anche solo un’altra macchina si avvicina troppo partono i peggiori insulti. E nello sport, quando a calcetto sbaglio un passaggio vengono giù gli angeli a grappoli, se l’avversario mi sfiora io lo spingo più forte dopo averlo insultato e in seguito lo insulto di nuovo. Quando prendevo un gol poi prendevo a calci la porta e tutti i difensori che mi passavano vicino.
E questi piloti, invece, chiamano l’ingegnere che gli risponde “rimetti a posto il volante e spegni la macchina”.
Ma io al posto dell’ingegnere prendevo a insulti il pilota e poi lo riempivo di schiaffi, sto cretino che mi ha fatto venire fino in Australia per poi schiantarsi dopo due curve.
Piloti quasi morti contro un muro per colpa di un errore,e invece che spaccare tutto quello che non si è spaccato da solo un attimo prima, loro chiamano per scusarsi, schiacciano due pulsanti e se ne vanno.
Ai piloti di Formula Uno ho sempre pensato servissero riflessi, tecnica e una grande preparazione fisica. E invece la cosa più importante è un grande aplomb altrimenti finirebbero squalificati dopo ogni diretta dalla telecamera di bordo.
Se non sono diventato un pilota di Formula Uno è solo per questo motivo, deve esserci stato un osservatore della Lola nascosto in ogni parcheggio della mia città, dietro ogni semaforo per vedere cosa stavo facendo.
Maledetta Lola.