Se questo è un uovo

C’è chi sull’aspetto di un uovo ci ha scritto un libro (io, pubblicità: “Il pelo nell’uovo”), chi invece l’uovo lo usa per fare ogni giorno il riso fritto (sempre io, si chiama 炒饭 ed è la cosa più buona del mondo).

In ogni caso l’uovo è sempre quella cosa con quella bella forma che dà pace al solo vederla. Poi dentro c’è un viscidume che una volta cotto puoi usare per farci di tutto. Ci fai pure i dolci, senza uova non è mica facile fare i dolci. Vero che ora siamo talmente stracarichi di intolleranze alimentari che abbiamo imparato a fare i dolci pure senza dolci, però, ecco, l’uovo aiuta.

Ma in Cina se ne fregano dello stereotipo dell’uovo e in barba alle leggi sull’immigrazione, pregiudizi di genere o di colore, loro hanno da millenni l’uovo che non ti aspetti.

In Cina prendono delle innocue uova di anatra, animale da noi estremamente sottovalutato e ridotto a fare da sfondo a bei paesaggi di laghi e fiumiciattoli, le mettono sotto la calce e le lasciano cuocere sotto l’azione di processi chimici che ignoro. Ma siccome ingnoro anche i processi chimici che portano alla produzione di una qualunque merendina o bibita, non mi faccio troppi problemi. Se ne occuperà il mio oncologo fra un ventina di anni a spiegarmeli in dettaglio.

Il risultato è questo

A prima vista non è niente di invitante. Un uovo nero con riflessi verdi e ambrati. Sembra tutto tranne una cosa commestibile.

Ma in un paese che deve sfamare un miliardo e mezzo di persone di certo non si fermano alle apparenze e qualcosa di buono devono tirarlo fuori da ogni cosa “non velenosa”, o almeno “non troppo velenosa”.

Sono invitato a cena, devo portare del vino e chiedo: “cosa si mangia stasera?”
“Sorplesa”.

Quando un cinese ti dice che ti farà una sorpresa a tavola, c’è da cominciare a preoccuparsi.

Per non sbagliarmi e buttarla sull’alcolismo piacevole opto per un Bolgheri Pietracupa. Non è sicuramente il vino adatto alla cucina cinese, ma di certo è il vino adatto per anestetizzarsi il palato qualunque cosa mi venga servita nel piatto. Con questo vino ci si può mangiare anche da soli, non si sente il dolore dei morsi e tutto diventa buono.

Oltre all’immancabile riso bianco, scorgo sui fornelli un misto di pancetta con edamame e già mi sento salvo.
In un’altra padella galleggiano in un mare rosso di peperoncino delle mezzelune nere e gelatinose.
Mi avvicino. “E questo cos’è?”
“Uovo dei mille anni”
“Ha mille anni davvero?” L’aspetto è proprio quello di cibo mummificato, lasciato dentro la tomba dell’imperatore insieme a tutto l’esercito di terracotta e scoperto da impavidi archeologi affamati.

Se le tombe egizie uccidono gli archeologi con le loro maledizioni, le tombe cinesi uccidono gli archeologi con i cibi che vi si trovano dentro.

Nel piatto mi ritrovo questo

Butto giù un sorso di Bolgheri che almeno mi dà quell’ebbrezza necessaria prima delle imprese rischiose.
Acchiappo un pezzo di questo uovo nero con le bacchette, mi assicuro che venga su anche abbastanza peperoncino da anestetizzare ogni sensazione o anche che riesca a farmi svenire all’istante.

Il peperoncino non era abbastanza. L’uovo nero sa di… uovo sodo.

Sa di uovo. Un leggero retrogusto amarognolo, sembra affumicato. Sembra un uovo già col bacon sopra.

È buono.

Ancora.

Ancora.

Finisco come se niente fosse tutto il piatto, la commensale rimasta senza più uova nel suo piatto mi fa uno sguardo truce, socchiude gli occhi in una fessura.
Resto con le bacchette a mezz’aria. “Perché mi guardi male?”
“Non ti guardo male.”
“Socchiudi gli occhi…”
“Deficiente, i miei occhi sono fatti così.”

Ah, già.


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